Da quando è stato annunciato il nuovo record italiano di finisher della maratona di Roma (15.167), in molti si sono chiesti da dove venisse tale dato, visto che, guardandola classifica ufficiale della manifestazione, in classifica risultano solamente 7.460 arrivati. In realtà, i più attenti, si saranno accorti che i runner in classifica sono ben di più, ma per molti di loro, tutti stranieri, non compare di fianco al nome il posizionamento in classifica generale.
Questo perché da qualche anno (a partire dal 2019 e più specificatamente ancora dal 2021) la Fidal ha introdotto un regolamento che permette agli atleti stranieri di partecipare alle manifestazioni italiane senza l’obbligatorietà di certificato medico (e del tesseramento).
Di tale esigenza si fece carico Maurizio Lupi, presidente del Gruppo Noi Moderati alla Camera dei Deputati, presidente del Montecitorio Running Club e maratoneta, primo firmatario di una Mozione approvata all’unanimità alla Camera il 9 gennaio 2020 (qui il testo integrale della Mozione 1-00190).
Più specificatamente, un runner straniero ha due possibili scelte: (1) iscriversi a una gara Fidal sottoscrivendo la RunCard e presentando il certificato medico agonistico sportivo come qualsiasi atleta italiano (e rientrando quindi poi nelle classifiche generali della manifestazione); o (2) iscriversi a una gara Fidal con finalità turistico-sportive, decidendo quindi di partecipare in modalità “non competitiva” (ma valida solo per gli atleti stranieri) senza l’obbligatorietà di RunCard e certificato medico, ma semplicemente firmando un’apposita liberatoria al momento del ritiro del pacco gara.
Tuttavia, scegliendo questa seconda opzione, l’atleta deve partire in coda alla manifestazione agonistica in una griglia separata, indipendentemente dal proprio “best time”. Inoltre, viene poi inserito (come appunto successo alla maratona di Roma) in una classifica di arrivo distinta dalla classifica della manifestazione agonistica, vedrà il proprio tempo inserito in ordine alfabetico e non potrà beneficiare di qualsiasi premio in natura o in denaro.
Perché questa distinzione che a molti potrebbe sembrare una sorta di “razzismo” al contrario? Semplicemente per favorire una maggiore partecipazione degli stranieri agli eventi italiani con una semplice autocertificazione, come succede già in tutte le altre nazioni, senza la richiesta di un certificato medico e un tesseramento che per molti cittadini esteri può diventare complicato recuperare, oltre che oneroso dal punto di vista economico.
Una scelta che, come si è visto all’ultima edizione della maratona di Roma, ha premiato, dato che più della metà dei partecipanti (oltre 11mila) e dei finisher (oltre 7mila e 700) erano proprio cittadini stranieri. Scelta che però in molti vorrebbero possibile anche per gli “atleti di casa”. Una diatriba che dura da tantissimo tempo e che non sembra poter portare nel breve termine ad alcun cambiamento.
Per chi non lo sapesse, infatti, la visita medico sportiva di tipo agonistico in Italia è obbligatoria dal 18 febbraio 1982, in funzione del Decreto Ministeriale all’interno del quale sono riportate le “Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”.