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Quando cambiare le scarpe da corsa?

Dario MarchiniBy Dario Marchini12 Febbraio 2024
Quando cambiare le scarpe da corsa?

“Cambiarle o non cambiarle, questo è il problema”. È il più classico dei dilemmi di fronte al quale, prima o poi, ogni runner si è trovato, indeciso sul da farsi. Sì perché, se è sempre un piacere il momento in cui si decide di acquistare un nuovo modello di scarpe da corsa, spesso è altrettanto difficile staccarsi da quella amata scarpa con la quale si sono condivisi tanti chilometri e che magari è stata l’artefice (insieme a noi) dell’ultimo personale raggiunto.

Perché cambiare le scarpe da corsa

Ma cambiare le proprie scarpe da running non è un dovere dal quale ci si può tirare indietro. L’importanza di avere ai piedi un modello funzionale non è solo una questione estetica o di performance, ma anche e soprattutto di salute: una calzatura troppo usurata può diventare la causa primaria di diversi infortuni, dal piede fino alla colonna vertebrale. Oltre, chiaramente, a non poter più garantire un apporto attivo alla propria attività quotidiana.

Ma come si può sapere quando è il momento di cambiare le scarpe da corsa? Lo vedremo tra poco. Prima analizziamo gli aspetti che possono andare ad influire sul consumo, maggiore o minore, di una calzatura e che devono sempre essere sempre tenuti in considerazione per poterne valutare al meglio lo stato.

I fattori che possono influenzare il consumo di una scarpa

Il chilometraggio è il primo dei parametri che devono essere tenuti in considerazione quando di parla di consumo delle scarpe da corsa. Mentre una decina di anni fa la maggior parte dei modelli da corsa destinati ai runner amatori riuscivano anche ad arrivare a 1000 o 1200 chilometri di percorrenza prima di essere cambiate, oggi le nuove mescole molto più leggere e reattive e le nuove tecnologie utilizzate non ne garantiscono una durata superiore ai 600 chilometri (800 nei casi migliori). Applicazioni come Strava o Garmin Connect o Polar Flow aiuteranno nel conteggio (automatico) della strada percorsa con ogni vostro modello.

Ovviamente un podista evoluto che corre molti chilometri alla settimana, raggiungerà prima il limite chilometrico delle proprie scarpe. Anche se non sono solo i chilometri quelli da tenere in considerazione.

Il tempo gioca un ruolo altrettanto importante, sia in termini assoluti che nel breve termine. A parità di chilometri corsi, ad esempio, un runner più lento rimane molto più tempo sulle gambe di un runner più veloce aumentando (temporalmente) lo stress a cui viene sottoposta la scarpa durante gli allenamenti. Al contrario, un amatore che corre saltuariamente vedrà durare molto nel tempo le proprie scarpe, col rischio però che sia proprio il tempo ad usurare i materiali, che perderanno parte delle loro capacità seppur non utilizzate (è il caso di quei runner che magari per due anni corrono sempre con lo stesso paio di scarpe perché tanto “le ho usate pochissimo”).

Per capire quanto e come possano consumarsi le scarpe è anche necessario dare uno sguardo alle proprie abitudini. Correre su asfalto o su sterrato non è la stessa cosa e, a parità di chilometri percorsi, le scarpe si consumeranno in modo differente: sulla strada sarà il battistrada il principale indiziato, mentre correndo sui sentieri a risentirne saranno maggiormente tomaia e intersuola.

La tipologia di scarpa avrà un consumo differente rispetto a modelli più o meno performanti. Scarpe pensate per la maratona, per ritmi lenti, molto ammortizzate e con un’intersuola massiccia, avranno una vita molto più lunga rispetto a modelli racing, realizzati per la prestazione e non per resistere nel tempo (un esempio estremo possono essere ad esempio le Adidas Adizero Adios Pro Evo 1, che hanno una vita stimata inferiore ai 100 chilometri).

Chi abita al mare, al caldo, o in montagna, dove il clima è spesso più rigido, vedrà un comportamento differente nello stesso modello di scarpa da corsa. Caldo e freddo, ma anche i repentini cambi di temperatura, incidono profondamente sulla durata dei materiali. Ne sono d’esempio molti modelli che cambiano la loro tenuta appena il clima si fa più rigido o umido.

Il peso. Chi si è avvicinato alla corsa per perdere qualche chilo di troppo avrà notato che, oltre ad aver guadagnato in salute e oltre ad essere riuscito a diventare più veloce col passare del tempo, anche le scarpe hanno iniziato ad avere una durata differente. Si, perché lo stress a cui vengono sottoposte, passo dopo passo, varia anche al variare del peso. I conti sono presto fatti: ad ogni passo, normalmente, carichiamo sulle articolazioni (e quindi anche sulle nostre povere scarpe) circa il triplo del peso corporeo. Quindi…

Un ultimo fattore da tenere sempre in considerazione quando si parla di consumo delle scarpe è come vengono trattate quotidianamente: l’abitudine di toglierle senza slacciarle, l’utilizzo extra corsa, lavarle troppo spesso e magari in lavatrice o lasciarle troppo sporche dopo che si è corso nel fango, lasciarle sotto il sole d’estate o all’umidità dell’inverno, sono tutte abitudini che le faranno deperire più in fretta. Anche le scarpe hanno un’anima (magari in Pebax), trattarle con cura ne allungherà la vita.

I fattori che indicano che è ora di cambiare una scarpa

Il numero dei chilometri

Come abbiamo già detto, il chilometraggio di una scarpa è il primo elemento che può farci capire che è arrivata al termine della sua vita “atletica” (nulla vieta di poterla utilizzare ancora nella quotidianità). Una volta arrivati verso i 600 chilometri di corsa, se prima non ci sono già state avvisaglie, è il momento di prestare più attenzione al suo comportamento durante la corsa e cominciare a pensare al nuovo modello con il quale sostituirla e magari alternarla negli allenamenti quotidiani.

Il consumo del battistrada

Analizzando la scarpa, si possono evidenziare diversi segni di usura che indicano il suo consumo. Partendo dal basso, il primo elemento che normalmente viene controllato è il battistrada. Dopo tanti chilometri, la gomma del battistrada evidenzierà aree maggiormente logorate, corrispondenti alle zone di maggior contatto con il suolo: per chi ha una rullata classica, la zona esterna del tallone e la parte interna dell’avampiede; per chi è pronatore, l’interno del piede; per chi corre di avampiede, la parte anteriore della scarpa.

Consumo differente che però dipenderà anche da fattori esterni, come correre spesso in salita e in discesa o allenarsi prevalentemente su asfalto. Quando l’usura di una zona diventa eccessiva, il grip non è più presente o inizia a lacerarsi anche parte dell’intersuola, è arrivato il momento di cambiare modello.

Il consumo dell’intersuola

Ma non è detto che sia sempre il battistrada il primo elemento a dare segni di cedimento in una calzatura. Anzi, spesso, è più probabile che a cedere per prima sia la mescola dell’intersuola.

Come verificare i segni di cedimento della struttura dell’intersuola? Ad esempio, comparando le scarpe in uso con uno stesso modello più nuovo: se l’ammortizzazione o la reattività non è più paragonabile è il momento di cambiare scarpe. Ma anche semplicemente inserendo la mano all’interno della scarpa e schiacciando verso il basso, si possono evidenziare avvallamenti anomali nella zona anteriore o posteriore del piede. Pieghe molto evidenziate sulla schiuma esterna o addirittura crepe, sono un evidente segnale di un consumo andato troppo oltre. Non ultimo anche la lacerazione in corrispondenza di zone molto usurate del battistrada.

Dolori muscolari e problemi articolari

Un campanello d’allarme legato soprattutto al consumo eccessivo dell’intersuola, può essere dato da improvvisi e strani fastidi a livello muscolare e articolare. Lo scompenso dato dalla scarpa, infatti, può incidere in maniera negativa sia sulla postura che sull’abituale movimento degli arti inferiori, andando a causare problematiche sia a livello muscolare che articolare: male ai piedi, male ai polpacci, male alla schiena, alle ginocchia o al collo… Non a caso una delle prime domande che viene posta quando ci si reca da un fisioterapista per un infortunio è proprio sul consumo delle proprie scarpe da corsa.

Il consumo della tomaia

Molti runner amatori hanno spesso problemi con la tomaia prima che con battistrada e intersuola. La conformazione della scarpa e la modalità con la quale il piede e le dita si muovono al suo interno possono portare a una lacerazione del tessuto, in corrispondenza delle dita (normalmente la zona sopra l’alluce) o nella zona interna o esterna del mesopiede, per un più marcato appoggio in pronazione o supinazione. In questi casi è bene valutare quanto il consumo incida sulla tenuta della scarpa e cambiare modello nel momento in cui il piede non si muove più in sicurezza.

La rottura della tomaia è un fattore di rischio ancora più elevato per chi pratica trail running. Le scarpe da trail sono normalmente costruite con zone rinforzate nei punti a maggior rischio di sfregamento e con tessuti decisamente più resistenti, ma prestate attenzione a eventuali zone consumate per non ritrovarvi con scarpe inutilizzabili a metà strada (soprattutto se siete amanti dell’ultra trail).

Due consigli per aumentare la durata delle scarpe da corsa

Il consumo di una scarpa da corsa non dipende solo da quanti chilometri si corrono, ma anche da come vengono trattate, lo abbiamo visto in apertura di articolo. Ecco, allora, due consigli per aumentare la loro durata.

Prendersi cura delle tue scarpe da corsa

Trattare con cura le proprie scarpe da running è il primo passo perché la loro vita si allunghi. Ma ricordatevi sempre che le scarpe sono lo strumento più importante di un runner: quello che è in grado di aiutare a correre meglio e più forte, quello in grado di evitare fastidiosi infortuni e problematiche di salute, quello che è un piacere indossare ogni volta che si esce a correre. Averne rispetto equivale a rispettare anche sé stessi: trattatele come se fosse un’appendice dei vostri piedi.

Alternare e/o lasciare riposare le scarpe da corsa

Un segreto per aumentare la vita delle scarpe da running è quello di concedere loro sempre un giorno (o più) di riposo. Un po’ come alle nostre gambe. Lasciare le scarpe nell’armadio permette ai materiali di cui sono costituite di “respirare” e riprendersi dagli “sforzi”. Soprattutto l’intersuola, che avrà il tempo necessario per riprendere la sua forma originaria e tornare a svolgere il suo lavoro al massimo delle proprie capacità.

I modi per farlo sono diversi: il più semplice è quello di adottare una rotazione. Ne abbiamo parlato spesso qui su The Running Club. Le rotazioni possono essere di diverso tipo: con due, tre o anche quattro diversi modelli in base all’attività da svolgere (lenti, ripetute, medi, gare…); o con modelli identici. È vero, l’investimento iniziale sarà più oneroso, ma a lungo termine tutte le scarpe ne beneficeranno durando più a lungo rispetto che usandone un solo modello alla volta.

Se invece siete runner principianti e volete correre con un solo tipo a stagione provate a farlo a giorni alternati: quando riposerete e recupererete anche le vostre scarpe lo faranno con voi.

ABC delle scarpe cambiare scarpe consigli
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“Designer per vocazione. Giornalista per scelta. Runner per passione”. Così amo riassumere la mia carriera professionale. Laureato in Design al Politecnico di Milano, ho iniziato a raccontare la mia passione per la corsa nel 2008 con il blog Corro Ergo Sum. Giornalista dal 2015, per undici anni ho lavorato nella redazione di Runner’s World Italia. Ho anche collaborato con diverse realtà nell’ambito dell’organizzazione di eventi podistici nazionali e internazionali come Milano Marathon, Abu Dhabi Marathon, Ras al Khaimah Half Marathon, DeeJay Ten, oltre ad essere stato per quattro anni Direttore Sportivo della Wings for Life World Run. Sono Presidente dell’Associazione Sportiva Corro Ergo Sum Runners e Tecnico Istruttore Fidal - Misure: altezza 177cm, peso 66kg, scarpe US10,5/EU44,5/28,5cm. Velocità riferimento su 10K: 3'40" al km.

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