Esce oggi nelle sale italiane Non dirmi che hai paura, il film che racconta la storia di Samia Yusuf Omar, che nel 2008 trovò la morte in mare tra l’Africa e la Sicilia mentre cercava di raggiungere l’Italia da profuga per coronare il sogno di correre i 200 metri alle Olimpiadi di Londra.
Presentato al Tribeca Film Festival, dove ha ottenuto la menzione speciale della giuria, e ad Alice nella Città, sezione indipendente della Festa del Cinema di Roma, il film è diretto da due registe, Deka Mohamed Osman e Yasemin Samdereli, che hanno lavorato sul romanzo omonimo, scritto da Giuseppe Catozzella.
Quello che lo sport non dovrebbe essere, in un racconto emozionante. Samia che rincorre i suoi sogni in una Mogadiscio devastata dalla guerra, che combatte e si ribella contro il potere integralista grazie alla corsa. Samia che cresce sognando le Olimpiadi, allenandosi, sacrificandosi, rincorrendo i suoi desideri. Samia che racconta il suo viaggio per riuscire a realizzarli.
Un viaggio verso l’Europa uguale a quello di altri migliaia di profughi. Ma un viaggio diverso da quello raccontato dai giornali. Un viaggio che non è soltanto un’attraversata del Mediterraneo su un barcone. Una realtà ben diversa da quella mostrata in televisione, ma che nemmeno lei conosce prima di viverla. Come non sa come e cosa sia il mondo fuori dalla Somalia.
Samia che si ritrova catapultata sul tartan rosso delle Olimpiadi di Pechino del 2008 al cospetto dei suoi miti, Veronica Campbell-Brown e Mo Farah (guarda qui il vero video della sua corsa). Una maglia troppo grande, pinocchietti e una fascia portafortuna in testa.
Samia che corre come sa fare, illusa forse dai suoi stessi sogni. Corsa e vita che si intrecciano. Come per qualsiasi podista. Stessi pensieri, stesse parole, stesse emozioni, stesse delusioni. Stesse speranze. Ma in mondi completamente diversi.
“Ho 8 anni e mi piace correre. Corro per strada, corro con le vecchie scarpe che hanno usato anche i miei fratelli, corro nel vecchio stadio anche se è quasi distrutto, corro dappertutto ma sulla spiaggia no, perché lì sparano. Ho 10 anni e ho appena vinto una gara di 7 km a Mogadiscio. Ho battuto anche i maschi. Sopra il mio materasso, in camera, ho la foto di Mo Farah. Correre è il mio sogno. Mio papà mi ha regalato delle scarpe nuove e una fascia bianca. Ho 15 anni e continuo a correre. Mi alleno di notte, mi alleno di nascosto, perché c’è la guerra civile qui in Somalia e perché sono una ragazza in un paese che sta diventando fondamentalista. I 100 m e i 200 m sono la mia passione. Vinco spesso, ma voglio di più, voglio correre meglio, più velocemente. Ho 17 anni e il comitato olimpico nazionale mi ha chiesto di andare a Pechino e correre per la Somalia. Sono senza parole, sono felice. Non sono mai salita su un aereo, non sono mai stata in un albergo. Correrò anche per tutte le altre donne somale. Arrivo ultima nella mia batteria, ma tornerò. Tornerò a Londra 2012 e lì non sarò ultima…”.
Oggi, la sua storia è diventata un film.