Il sogno (o il rimpianto) di quasi ogni runner amatore è quello, un giorno, di poter correre come un professionista. Qualcosa di realizzabile con impegno, costanza e talento, per i giovani ragazzi che riempiono i campi di atletica, mera utopia per quei master che si scoprono runner (magari con tempi di tutto rispetto) in età adulta.
Essere professionista nel mondo del running è sicuramente affascinante, ma altrettanto faticoso. Vuol dire correre per lavoro e non più (solo) per piacere, affrontare la fatica quotidianamente, più volte al giorno, facendo i conti con carichi di lavoro pesanti, infortuni che frenano velleità e sogni, dovendo esprimere sempre di più il meglio di sé stessi. Ma non solo. Vuol dire, soprattutto in Italia, far parte anche di un corpo militare che garantisca uno stipendio per vivere e dedicarsi completamente alla propria passione. Vuol dire anche trovare sempre nuovi brand come sponsor che pensino ai materiali tecnici e che aiutino anche economicamente l’avanzare di una carriera non certo fruttifera come quella di un calciatore.
Nel resto del mondo le cose funzionano più o meno nella stessa maniera, in alcuni Paesi ci si appoggia come in Italia alle forze militari, in altri a farla da padrone sono invece gli sponsor. Ma ovunque (e in qualunque disciplina) è difficile riuscire ad emergere senza un brand che foraggi la propria crescita e fornisca i mezzi per provare a puntare sempre più in alto.
Un runner d’èlite o sub-èlite, che punta a un Mondiale o a un’Olimpiade, ma che non ha un appoggio economico deve incastrare lavoro (o lavori) con allenamenti, e investimenti, che gli permettano comunque di supportare i propri sogni. Praticamente una vita da amatore, ma con stress e impegno da atleta. Casi forse poco conosciuti in Italia e in Europa, soprattutto quando si parla di atletica e pista, ma molto più diffusi negli States.
L’Unsponsored Project di Bandit Running
Proprio a questa categoria di atleti che vivono nel mezzo si riferisce Bandit Running, brand di abbigliamento sportivo di New York, che ha iniziato una “battaglia” per cercare di cambiare le cose. Si chiama, infatti, Unsponsored Project il programma che ha messo in atto negli ultimi trials americani, per dare più visibilità a questi atleti che vivono da professionisti, ma senza esserlo. E il modo che hanno escogitato per farlo è particolare: rinunciando a colori sgargianti e loghi esagerati, e fornendo a tutti questi ragazzi abbigliamento no-brand (canotte, pantaloncini, top, calze…) per farsi notare.
L’obiettivo, come dichiarato da Bandir Running, è quello di richiamare l’attenzione sull’atleta non sponsorizzato, consentendogli di “far conoscere apertamente la propria indipendenza mentre insegue i propri sogni olimpici”. Agli ultimi trials americani erano in 30 e tutti indossavano un kit nero, senza alcun marchio, come ombre che si insinuano tra i colori sgargianti di decine di brand (e che tra l’altro, proprio per questo, spiccano e risaltano).
Ogni atleta che partecipa all’Unsponsored Project riceve un compenso per coprire le diverse spese legate alla preparazione e all’iscrizione alle diverse competizioni come i Trials olimpici. Ma con la libertà di abbandonare il progetto non appena si materializzasse l’opportunità di trovare un accordo con un vero e proprio brand.
L’Unsponsored Project è stato lanciato nel 2023, con nove atleti non sponsorizzati che hanno partecipato agli US Outdoors. Uno di loro subito dopo il meeting è riuscito a ottenere un importante accordo di sponsorizzazione con noto marchio di calzature.